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SITUAZIONE ECUMENICA IN SUD AFRICA 1


   Questa introduzione al contesto ecumenico locale si compone di tre parti: una riflessione iniziale sulle relazioni ecumeniche in Sud Africa; una seconda parte in cui si presenta la città di Umlazi, vicino a Durban, luogo ove ha visto luce il presente testo della Settimana di preghiera per l’unità, soffermandosi sulle molteplici sfide cha gli abitanti devono affrontare; infine, una valutazione sulla cooperazione e vitalità ecumenica della città, offerta dai responsabili di chiese di Umlazi.

Le chiese in Sud Africa

   Nelle discussioni contemporanee su qualsivoglia argomento - dallo stato dell’economia all’educazione e alla teologia -, è ormai di rigore parlare di “prima del 1994” e “dopo il 1994”. Questa divisione in pre e post 1994 non è solo un’etichetta, è una profonda realtà che tocca tutta la vita del Sud Africa. La riflessione ecclesiologica non fa eccezione. Prima del 1994 le chiese sudafricane avevano già delineata la propria missione: le battaglie per porre fine a regole ingiuste, a una legislazione discriminatoria, alla pratica dell’apartheid, lasciava poco spazio per altri obiettivi. Con la fine dell’interdizione dei movimenti di liberazione, la scarcerazione dei capi politici, e l’elezione di un governo democratico, le chiese si sono trovate, improvvisamente, senza un obiettivo definito. Da quel momento esse hanno lottato per avere una comune voce.

   In senso ampio, le chiese in Sud Africa formano due maggiori gruppi - quelle di origine europea (soprattutto protestanti, ma anche la Chiesa cattolica e, numericamente assai più esigue, le Chiese ortodosse e le Chiese copte) e quelle nate nel continente africano. Accanto a queste vi è un piccolo ma significativo numero di Chiese di matrice pentecostale fondate negli Stati Uniti. Ad eccezione della Church of England in South Africa, della German Evangelical Lutheran Church e della Baptist Union, tutte le altre chiese di origine europea sono membri del Consiglio di chiese del Sud Africa (South African Council of Churches - SACC). Nel 2004 la Dutch Reformed Church, che aveva sostenuto moralmente e teologicamente il governo pro-apartheid, ha chiesto pubblicamente perdono e ha chiesto di essere ammessa al SACC. Dall’avvento della democrazia, nel 1994, molte delle African Initiated Churches sono divenute membri del SACC (con la considerevole eccezione della Zionist Christian Church e della Shembe Church, entrambe con vasta affiliazione).

   Un certo numero di chiese del SACC (Methodist, Presbyterian, Anglican e United Congregational) fanno anche parte della Church Unity Commission. Questa Commissione ha stabilito alleanze che comportano il pieno riconoscimento del battesimo e della prassi eucaristica, e il pieno reciproco riconoscimento dei ministeri. La funzione di episcopé è ancora argomento di discussione.

   Per ironia della sorte, più le chiese hanno formalmente abbracciato il movimento ecumenico, più l’unità di intenti a livello nazionale è divenuta elusiva. Ciò non significa che non vi siano questioni che necessitano attenzione. L’AIDS è una realtà che tocca ogni persona in Sud Africa, tuttavia, non vi è unità di intenti sul modo di affrontare l’epidemia. La disoccupazione ha raggiunto livelli da crisi, ma all’interno delle chiese (così come all’interno dei partiti di governo) non vi è accordo su come affrontare direttamente la crisi. La violenza a tutti i livelli della vita, soprattutto contro le donne e le bambine, è un problema costante che richiede di essere preso in considerazione dalle chiese.

   Se tutto ciò esaurisse il quadro, questo sarebbe davvero oscuro. Fortunatamente vi è anche l’altro lato della storia. Contrariamente a quanto accade in molti paesi molto sviluppati, in Sud Africa la maggior parte delle chiese conta numerosi fedeli, molto attivi. A livello locale si riesce a fare molto per combattere la povertà, le malattie (soprattutto quelle legate all’AIDS) e la mancanza di istruzione. Sono molte le storie esemplari che scaldano il cuore, soprattutto dove si sono stabiliti localmente ministeri per malati di AIDS costretti a casa, gruppi di donne che assistono gli orfani dopo la scuola, che coltivano orti e organizzano centri di artigianato per creare guarnizioni di perline. Forse è questa la strada che le chiese devono percorrere ora, non a livello nazionale, ma attraverso iniziative su micro-scala, spesso ecumeniche, che rendono il Regno di Dio una realtà, e che rompono il silenzio della povertà, della malattia, della violenza e della disperazione.

   Il materiale della Settimana di preghiera di quest’anno è stato elaborato in un contesto locale segnato da una crisi profonda, per quanto riguarda i problemi descritti, ma, al contempo, determinato a rispondere con incredibile coraggio e cooperazione ecumenica.

Umlazi, Bhekithemba e le zone circostanti

   Nel 1950 il governo pro-apartheid in Sud Africa approvò il Group Areas Act, una politica di separazione fisica forzata fra persone, creando differenti aree residenziali a seconda della diversità di razza. Oltre tre milioni di persone furono forzatamente sloggiate e trasferite nelle township, sobborghi sovrappopolati dove fu confinata la maggioranza della popolazione di colore, costretta in case povere, con inadeguate condizioni mediche e di istruzione, limitate opportunità lavorative. Umlazi, originariamente era una di queste township.

   Nel periodo post-apartheid, il permanere della mentalità razzista, la disoccupazione, la povertà continuano a costituire un terribile problema per la popolazione di Umlazi. Con oltre il 40% di disoccupati, e molti che riescono a malapena a portare il necessario per sfamare le proprie famiglie, è molto difficile lasciare la township. La popolazione di Umlazi e dintorni ammonta a circa 750.000 persone, ma vi sono pochissime infrastrutture; non ci sono centri ricreativi, neppure un campo per giocare a calcio o un cinema, vi è penuria di scuole, ospedali e ambulatori, alloggi dignitosi. Non solo, si deve pensare che le township non sono neppure le realtà più povere del Sud Africa; quelle più povere sono le aree rurali, assai poco sviluppate, insieme agli insediamenti abusivi - un tempo chiamati squatter camps - che si trovano alla periferia delle maggiori città e paesi.

   Il contesto di povertà e disoccupazione dà origine ad un alto tasso di criminalità e ad abusi all’interno delle famiglie e delle comunità; ma il problema maggiore da affrontare attualmente dalla popolazione di Umlazi è l’epidemia di AIDS. È stato stimato che oltre il 50% dei suoi residenti può essere infettato dal virus, e dal momento che molti non sono stati sottoposti a test di controllo, non è possibile conoscere l’esatta misura della diffusione dell’epidemia; è certo, tuttavia, che costituisca un carattere rilevante della presente realtà. Nessuna di queste aree è immune dall’infezione di AIDS. Oltre il 10% dei bambini nati in questa regione sono nati infetti dal virus, molti muoiono nel loro primo anno di vita. La popolazione fra i 14 e i 40 anni è stata decimata, con la conseguenza che molti bambini vivono con i nonni, ma molti si trovano a vivere in mezzo alla strada, da soli.

   Nessuna persona, famiglia, chiesa o comunità può affrontare da sola i problemi legati alla disoccupazione, povertà, crimine, abuso di donne e bambini, e AIDS. Sono problemi troppo grandi per una chiesa divisa. Questa situazione, dunque, costituisce un’agenda per l’ecumenismo.
Gli Zulu dicono: “Se vedi qualcuno costruire una casa senza l’aiuto di nessuno, non passare oltre!”. L’apartheid è riuscito a rompere le barriere che dividevano le chiese, ora, a livello locale, l’AIDS sta facendo lo stesso.

   Le chiese di Umlazi e di altre città hanno lavorato per costruire cliniche ove iniziare programmi di assistenza sanitaria a domicilio, in modo che volontari possano venire preparati per prestare assistenza ai malati terminali nelle proprie case, attraverso un lavoro che è molto duro fisicamente, emotivamente e spiritualmente, ma che è in grado di fare la differenza nella vita delle persone. Altri progetti sono indirizzati verso la cura degli orfani e di altri bambini che si trovano in situazioni di vulnerabilità, ma anche verso l’educazione dei giovani, come ad esempio l’iniziativa chiamata “rompere il silenzio”, descritta nell’introduzione di questo fascicolo per la Settimana dell’unità. La cooperazione fra le chiese si estende anche oltre la realizzazione di programmi congiunti, e include preghiere comuni, testimonianza comune, e molti altri esempi di ecumenismo della vita, come appare evidente dalla riflessione dei capi di chiese esposta di seguito.

Testimonianza dei capi di chiese di Umlazi circa la cooperazione ecumenica

   La realtà dei fatti è che noi, chiese e clero diversi, serviamo il popolo di Dio, cioè: 1) parenti di sangue; 2) amici e colleghi; 3) una comunità che è servita quotidianamente da uno stesso municipio, uno stesso ospedale, e che condivide lo stesso cimitero. Perciò ogni festa o celebrazione, matrimonio, battesimo, cresima, funerale o altra celebrazione di requiem, è inevitabilmente ecumenico. Molti si accorgono di appartenere a chiese diverse solo per due ore, la domenica.

   Durante la celebrazione dei funerali, attualmente molto frequenti, si vedono diverse divise colorate, e questo mostra la bellezza dell’arcobaleno del popolo di Dio. Mostra anche come la maggior parte dei fedeli, a livello di base, non percepisca la differenza fra le diverse interpretazioni dell’eucaristia e della condivisione eucaristica nelle varie chiese cristiane. Ciò che essi comprendono è che c’è molto che li unisce. A volte i laici in Africa sembrano comprendere molto meglio del clero delle loro chiese quale sia la teologia del battesimo come legame di famiglia.

   I laici si incontrano e cooperano spesso insieme. Ascoltando i media essi colgono i doni del clero da diverse denominazioni. Quando organizzano i loro ritiri, ad esempio, non fanno affidamento ad altri nello scegliere una guida. Essi ritengono possibile scegliere qualsiasi ministro, di qualsiasi denominazione, per guidarli nei ritiri. Per esempio, una parrocchia locale anglicana ha recentemente invitato un ministro cattolico per dirigere il ritiro; e poco dopo il prete anglicano di quella parrocchia è stato chiamato per condurre il ritiro nella parrocchia cattolica. È un esempio di come i laici abbiano condotto e il clero abbia seguito; funziona bene. La popolazione uccide gli animali insieme, celebra insieme le feste, piange insieme e gioisce insieme. È esatto dire che i doni di ciascuna chiesa o parrocchia sono condivisi dalle altre.

   Fra le chiese di Umlazi si pratica frequentemente lo scambio di pulpito/altare, soprattutto fra quelle chiese che sono membri della Church Unity Commission. Ci sono molti altri esempi di chiese che si aiutano reciprocamente nel ministero, ad esempio, per quanto riguarda l’amministrazione e lo sforzo per diventare auto-sufficienti. Recentemente un suddiacono/ministro laico anglicano è diventato insegnante di gestione amministrativa ecumenica; egli, infatti, ha visitato diverse comunità cristiane limitrofe, condividendo quanto aveva imparato. Inoltre vi sono incontri di persone che condividono il medesimo servizio, ad esempio, ministranti di diverse chiese si incontrano una volta l’anno, ospitati e accolti ogni volta da una chiesa diversa.

   È ormai tradizione che la celebrazione del Venerdì Santo abbia una dimensione ecumenica. Spesso si organizza una processione con la croce da una chiesa all’altra. In altri luoghi si organizza una celebrazione ecumenica, al termine della quale i fedeli tornano ciascuno alla propria chiesa.

   Sentiamo che i tempi in cui i nostri fratelli e le nostre sorelle adottavano l’apartheid del Ministro Verwoerd e lo sostenevano teologicamente sono ormai lontani. Non vi è più un “noi” e un “loro”. Anni fa i cattolici accusavano gli anglicani di eresia, gli anglicani criticavano i metodisti, i metodisti criticavano i pentecostali, i pentecostali accusavano i cattolici e gli anglicani di idolatria. C’era una catena di accuse. Da quei giorni si è fatta molta strada!

   Recentemente, in un sermone durante una celebrazione ecumenica, un prete anglicano, uno di noi, ha detto: “Sono un prete anglicano. Accetto Gesù quale mio Signore e Salvatore! Non possiamo essere divisi da una storia europea che abbiamo ereditato. Perdonatemi, ma conosco solo Gesù Cristo, che è morto per me!”. Grazie a Dio abbiamo abbattuto le barriere dell’apartheid e il muro di Berlino è crollato. Stiamo ora crescendo insieme, a poco a poco, come chiese che cercano di seguire Gesù che ha detto “che essi siano una cosa sola!” (Gv 17, 21).

AMEN.

 


ENDNOTES



  1. La descrizione delle chiese in Sud Africa e della situazione ecumenica locale è stata preparata da un gruppo locale, sotto la cui responsabilità viene pubblicato il testo.

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